LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA
Quello della profezia che si autoavvera è uno dei fenomeni più interessanti della psicologia; benché il nome suggerisca qualcosa di magico, è in realtà una tematica studiata in molte discipline, dalla medicina alla pedagogia, dalla sociologia alla psicologia clinica. Ma in cosa consiste? Molto semplicemente è una predizione, anche infondata, che produce gli effetti reali attesi. I primi studi si devono a Merton e Thomas, due sociologi americani che avevano notato come le aspettative nel mondo dell’economia producessero risultati reali, anche quando si trattava di semplici ipotesi: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. A divulgare al grande pubblico lo studio sono stati gli psicologi Watzlawick e Giorgio Nardone (1997), i quali ne hanno approfondito le implicazioni in ambito non soltanto sociale ma soprattutto clinico. Ad esempio, la paura riguardo al futuro ha un importante ruolo nella formazione del disturbo di panico, poiché è proprio l’ansia anticipatoria a spingere la persona a cadere nella trappola delle strategie di evitamento che la imprigionano in una zona di comfort sempre più ristretta, dalla quale faticherà ad uscire. Ecco che la paura di un danno futuro crea una realtà disfunzionale. Oppure, nel caso della depressione, le aspettative negative di un futuro privo di speranza, immobilizzano la persona gettandola nello sconforto e la convinzione dell’immutabilità della propria condizione porta a non agire o arrendersi al primo ostacolo, condannandola così realmente a un destino senza via d’uscita.
Ma vediamo nel dettaglio la formula della profezia che si autorealizza:
a- Un’asserzione
b- presa per vera
c- che instilli precise aspettative
d- che spingano a compiere determinate azioni
e-che producano gli effetti reali attesi.
Affinché una predizione si realizzi non è importante, dunque, che l’asserzione iniziale sia fondata o meno, ma è sufficiente che venga presa per vera, in modo da condizionare dapprima le aspettative e poi i comportamenti concreti di chi le dà credito. In questo modo, un’ipotesi dapprima solo immaginata diventa vera proprio per mano di chi si adopera, ingenuamente, per costruirla. E’ come se le aspettative fossero quel ponte tra lo psichico e il fisico, tra il pensiero e la realtà concreta: è infatti sul loro impulso che pianifichiamo le nostre azioni, tramite le quali edifichiamo il mondo intorno a noi. Un elemento che alimenta la profezia che si autoavvera è il bias di conferma, un errore sistematico della nostra mente: senza rendercene conto, tendiamo a selezionare quegli stimoli che confermano le nostre convinzioni e aspettative, ignorando attivamente il resto. Come si può intuire, tali meccanismi sono determinanti per l’espressione delle nostre capacità cognitive. Ad esempio, davanti a un compito difficile l’aspettativa di insuccesso può frenare le nostre potenzialità attivando l’amigdala (la parte più emotiva del nostro cervello), e paralizzando la neocorteccia, sede delle nostre più evolute capacità cognitive. A livello soggettivo, la persona si sentirà investita da un senso di sopraffazione: esperirà accelerazione del battito cardiaco, respiro corto ecc.., reazioni fisiologiche opprimenti che la metteranno in stato di allarme, paralizzandola per la paura e bloccando così, realmente, ogni possibile reazione razionale che potrebbe arrivare solo dalla neocorteccia, la quale, appunto, è al momento inaccessibile. Secondo questo meccanismo, l’aspettativa di un insuccesso, al pari di una profezia, può trasformarsi in realtà nel momento in cui siamo sopraffatti dalla paura di fallire.
Approfondendo l’argomento, cito lo studio di Lo Presti (2021) che ci insegna ad utilizzare in maniera mirata questo potente meccanismo, per poterlo applicare nella vita quotidiana in un’ottica di benessere e crescita personale. Il protocollo si articola in 3 step:
1- analisi dell’oracolo interiore;
2- individuazione dei comportamenti e atteggiamenti disfunzionali;
3- cambiamento concreto.
Nel primo step si analizzano le convinzioni del paziente riguardo a sé e le sue aspettative circa le sue difficoltà, per comprendere la costruzione del problema stesso, poi si individua in che modo certe idee, concretamente, influenzino la vita del paziente, ovvero attraverso quali azioni e atteggiamenti le proprie idee imprimono la loro impronta nel mondo reale. Infine, nell’ultima fase si passa all’azione in maniera concreta: una volta inquadrato secondo quali logiche il problema si struttura, occorre scardinarlo. Il modo migliore è guardare oltre, attraverso un’esperienza emozionale correttiva, un passo alla volta.
Ecco che le dinamiche della profezia che si autoavvera, dopo essere state comprese, possono venire usate in maniera costruttiva, rendendoci artefici del nostro destino senza subirlo passivamente.
(Lo Presti, 2021, Psicologia contemporanea)