“PARLIAMONE!”, CI DICIAMO, MA CONOSCIAMO LE REGOLE BASE PER INIZIARE UNA CONVERSAZIONE DELICATA?
Quando si tratta di questioni intime o di argomenti tabù, parlarne diventa sorprendentemente difficile: nonostante apertura e sincerità siano ideali diffusi, che ben volentieri siamo disposti a perseguire, tuttavia preferiamo tacere su determinati argomenti, continuando a portarci dentro un problema che ci inquieta, inibisce e tormenta. L’oggetto può essere alquanto vario, dall’irritazione verso il proprio partner all’avventura che si vorrebbe confessare senza trovare il coraggio di farlo, dai desideri sessuali che si crede l’altro non possa accettare alla paura della morte. I motivi del silenzio, insomma, sono molteplici e dipendono dalla gravità del tema: orgoglio, vergogna e paura impediscono di esprimerci, anche solo per non ferire l’altro, temendo di perderlo se venisse a conoscenza della verità.
Psicologi ed esperti della comunicazione hanno studiato i meccanismi sottostanti tale processo: è emerso che la motivazione che ci induce a tacere è più importante del contenuto della confessione stessa. Di conseguenza attuiamo un evitamento sistematico di certi temi scottanti, poiché temiamo la possibile reazione violenta dell’altro, l’emotività e la sgradevolezza che possono accompagnare un qualunque accenno alla questione, oppure è la semplice paura di un litigio, visto come l’inizio di una spirale discendente. Questi timori non sono infondati: gli studi infatti hanno dimostrato che l’interlocutore non necessariamente gradisce la confessione, può accadere che si debba fare i conti con reazioni drammatiche, ma tendenzialmente le confessioni sono più salutari di quanto si creda e più produttive sul piano relazionale. Il colloquio, insomma, è di per sé qualcosa di positivo, ma questo vale solo a certe condizioni: non basta aprire il discorso e chiuderlo lì o liquidarlo in modo superficiale, un dialogo delicato deve essere preparato e richiede una strategia psicologica.
Lo psicologo americano Scott ha condotto molti studi analizzando centinaia di colloqui registrati tramite un sistema di microanalisi, per poi elaborare le interazioni fra i partecipanti: questo gli ha permesso di individuare tre punti nevralgici, che mettono in luce i nodi cruciali di un discorso serio, su qualunque tema delicato:
1- La discussione termina con un chiarimento concreto circa qualcuna delle questioni all’ordine del giorno?
2- Le motivazioni e le paure reciproche sono state affrontate?
3- Come influisce sul dialogo la qualità della relazione? Si svolge libero da inibizioni, pregiudizi e conti in sospeso o riemergono vecchi attriti?
L’analisi di Scott ha dimostrato che, tra i colloqui svolti, solo quelli che tenevano conto di questi tre requisiti avevano dato risultati positivi; riuscire a rispettarli è tutt’altro che scontato, condurre nel migliore dei modi un colloquio difficile richiede una buona dose di sensibilità, empatia e autoriflessione. Occorre specificare che, anche seguendo correttamente tutti i punti descritti, non necessariamente il colloquio va a buon fine; possono esserci momenti o situazioni in cui è meglio tacere e accettare i limiti di una relazione, piuttosto che addossare all’altro il dolore riguardo un tema particolarmente difficile. La nostra salute mentale dipende anche dalla capacità di sopportare sentimenti contrastanti e situazioni ambigue, con la consapevolezza che non tutti i problemi si possono risolvere sempre e subito: se è il caso di portare la conversazione su un problema, o se sia meglio evitarlo, dipende anche dalle conseguenze che siamo pronti ad affrontare.
(Wolf, 2016, Psicologia contemporanea)