L’ATTENZIONE NELL’EPOCA DELLA DISTRAZIONE
Fin da quando siamo piccoli, come una costante, ci sentiamo ripetere che dobbiamo prestare attenzione a qualcosa o qualcuno, ma cosa significa realmente? Fermiamoci un istante e riflettiamo: se facciamo mente locale su una persona attenta, a cosa pensiamo? Con tutta probabilità a chi ha uno sguardo focalizzato su qualcosa, magari intenta a compiere una certa azione che richiede tipicamente concentrazione; insomma, ci raffiguriamo qualcosa di impegnativo, un’azione che richieda il nostro focus. In altre parole, associamo il termine attenzione ad aspetti quali l’impegno e il tentativo di ‘restare sul pezzo’ senza distrarsi. Da questa visione dell’attenzione, come di uno sforzo difficile, emerge una modalità di percepire la realtà che riassumiamo in una frase: «Se non accende il mio interesse, significa che non è troppo importante». Questo ci fa capire la tendenza della nostra società attuale a ricercare continuamente stimoli attrattivi che rendano più immediato lo spostamento della nostra attenzione su più fronti.
E’ come se cercassimo di costruire una realtà che richieda il minimo utilizzo delle nostre risorse interiori: da un lato è un meccanismo ottimale di gestione della nostra società, già così complessa, dall’altro rischia però di rendere il nostro cervello sempre più pigro e di deteriorare il nostro ‘muscolo decisionale’, sentendoci sempre meno protagonisti della realtà che ci circonda. Viviamo infatti in un’epoca caratterizzata da un surplus di ‘super-stimoli’ che attraggono la nostra attenzione: quest’ultima, per la maggior parte delle persone, è una risorsa che segue regole legate al funzionamento fisiologico dei nostri sensi, ma è molto più complicata. Non si tratta infatti di un canale statico che riceve in modo passivo la realtà, ma di un processo dinamico e attivo di scambio tra mondo e mente. Se cent’anni fa avevamo a disposizione poche informazioni e/o stimoli artificiali, oggi ne siamo letteralmente subissati; possiamo quindi definire il nostro periodo storico come l’era della distrazione, nella quale siamo circondati da stimoli che influenzano le nostre opinioni e comportamenti e, nel momento in cui non siamo intrattenuti da qualcosa, tendiamo a sentirci annoiati, vuoti e senza scopo.
Ad esempio, leggendo questo l’articolo in questione occorre dirigere consapevolmente la nostra attenzione a questa pagina, ma tra qualche minuto, o forse pochi secondi, è possibile che questa si sposti altrove. A volte ciò dipende da una distrazione esterna, altre volte i pensieri si intromettono in ciò che osserviamo, ma non ci rendiamo subito conto di aver ‘perso il filo’, pertanto continuiamo a vagare, per poi riorientarci verso il testo in questione. Possiamo quindi notare come all’interno di questa semplice sequenza – osservare intenzionalmente, perdersi, notare di essersi persi, riprendere l’attenzione – sono coinvolti ben 5 circuiti cerebrali. Innanzitutto quello della vigilanza, che porta attenzione intenzionalmente alle parole, quello della rete di default, quando ci perdiamo tra i pensieri, quello della salienza, che ci fa capire che non stiamo più leggendo, quello esecutivo, per riprendere a leggere, ed infine quello del riorientamento, per tornare sui nostri passi. Sembra incredibile che un esercizio così semplice, come la lettura, implichi tutte queste reti e collegamenti cerebrali, che in realtà sono indispensabili in ogni ambito della nostra vita. In particolare, gli aspetti più importanti a cui solitamente non prestiamo attenzione sono due: la metacognizione e l’atteggiamento mentale nei confronti dell’errore. Nel primo caso si intende la capacità di notare cosa ci accade quando perdiamo il filo del discorso, mentre il secondo consiste nel trattarci in maniera negativa quando sbagliamo diminuendo la motivazione. In questi casi dimentichiamo un dato importante, ovvero che la nostra attenzione non è fatta per concentrarsi su un unico stimolo, ma progettata per saltellare da uno all’altro: dobbiamo quindi accettare il fatto di vivere nell’era della distrazione, dove ogni stimolo è arricchito affinché possa catturare parti della nostra attenzione.
(Romagnoli, 2021, Psicologia contemporanea)