La prospettiva della pensione divide la popolazione attiva in due grandi gruppi: l’uno con una grande attesa e desiderio, l’altro con una forte repulsione. Istintivamente saremmo portati a pensare che tale scelta sia motivata dalla tipologia lavorativa, perché svolgere lavori faticosi o stressanti senza grandi soddisfazioni al contrario di chi ricopre impieghi prestigiosi e non particolarmente usuranti, fa la differenza. La questione però è un po' più complessa, essendo molti i fattori che influenzano l’attesa di un meritato riposo e il timore di uno svuotamento. La conclusione dell’esperienza lavorativa, inoltre, non è uguale per tutti, in particolare nell’ottica delle nuove prospettive ed impegni che si aprono a ciascuno di noi. Anche se il terminare la carriera resta nell’immaginario collettivo come un evento conclusivo che assimilerebbe tutti i lavoratori, al giorno d’oggi il panorama globale sta mutando e assistiamo ad una crescente variabilità nel modo di gestire questo step. Sono infatti molto variabili le modalità di uscita dal lavoro (es. i tempi e l’età anagrafica), è delinato un ampio quadro di attività sulle quali molti pensionati investono le loro energie e il loro tempo per concretizzare un nuovo stadio del loro ciclo di vita, quali il volontariato, le esperienze associative, l’esercizio fisico, il viaggiare ecc..
Il lavoro, per quanto faticoso, permette l'espressione di sé, la realizzazione della propria persona, la possibilità di portare e generare valore. Nella prospettiva della pensione dobbiamo dunque rielaborare l'immagine di noi stessi per recuperare un’altra dimensione, una nuova circostanza di vita che porta con sé una condizione differente, prima tra tutte la ridistribuzione oraria delle giornate, non più scandite dagli impegni lavorativi. Avere a disposizione più tempo libero non significa necessariamente vivere meglio: dipende da quanto lo consideriamo un'opportunità, perché la percezione del suo valore spesso muta in concomitanza con la pensione. Qualsiasi cambiamento è difficile e sostituire una condizione nota, ancorché faticosa - quale quella lavorativa - con una ignota è tutt’altro che facile: cresce la paura di non essere più all'altezza, di non avere più un ruolo all’interno della società. Il cambiamento, infatti, per non essere nemico, dev'essere desiderabile e desiderato, per cui occorre pensarlo - e viverlo - non in termini di sostituzione, ma di aggiunta: la pensione non sarà più solo il tempo del non lavoro, bensì una dimensione che va oltre. L’obiettivo dunque è quello di trovare un nuovo equilibrio tra il proprio desiderio di un nuovo spazio-tempo per sé e la necessità di mantenere un sentimento di utilità e di costruzione, immaginando la pensione come nuova opportunità di essere utili e di coltivare nuovi interessi. È questo il "lavoro" da farsi: non mettere a riposo cuore e cervello e non ridurre per nessun motivo il desiderio di costruire e di apportare un contributo a sé e agli altri: è necessario costituire un nuovo inizio in cui sperimentare una nuova immagine di sé, non diminutiva di quella precedente, ma integrativa, consapevoli che la motivazione generativa dell'uomo, se adeguatamente coltivata, non si esaurisce mai.
(Gheno, Psicologia contemporanea, 2020)