LA SINDROME DI HIKIKOMORI: UN FENOMENO GLOBALE
Sindrome di Hikikomori: termine coniato in Giappone per indicare un fenomeno globale che prevede una forma di reclusione volontaria a casa propria. In quest’ultimo ventennio è stato infatti riscontrato dagli psicologi un aumento esponenziale del numero di giovani che scelgono di isolarsi dal mondo e riguarda soprattutto i giovani dai 14 ai 30 anni, principalmente maschi (tra il 70-90% dei casi). I dati degli studi mostrano il fatto che tale sindrome non sia esclusivamente giapponese, come si riteneva all'inizio, ma un disagio adattivo sociale che riguarda tutti i paesi economicamente sviluppati: in Italia si stimano almeno 100.000 casi.
Il disturbo, descritto e osservato primariamente in Oriente, ad oggi non è ancora una diagnosi ufficiale del DSM-5, ma gli specialisti hanno fornito una definizione chiara e coerente del disturbo a livello clinico. I criteri primari identificati sono tre:
1. significativa reclusione sociale nella propria abitazione;
2. isolamento continuo di almeno 6 mesi;
3. significativa compromissione funzionale e/o disagio associato all’isolamento
Gli studiosi hanno inoltre evidenziato 4 aspetti chiave che facilitano l’identificazione della sindrome. Il primo punto riguarda l’isolamento sociale nella propria casa, che rimane il fulcro del disturbo: si specifica che nel caso in cui le persone escano occasionalmente di casa, anche 2/3 giorni alla settimana, rientrano ugualmente nella diagnosi, mentre 4 o più uscite non soddisfano i criteri. In secondo luogo, gli esperti si sono concentrati sul requisito ‘evitamento di situazioni e relazioni sociali’, inizialmente presente nella diagnosi ma successivamente eliminato, poiché nelle interviste svolte dai ricercatori è emerso che i soggetti non evitano in toto le interazioni sociali, ma riferiscono di averne poche e significative. Tale specifica è infatti clinicamente rilevante, in quanto l’assenza di evitamento consente di differenziare i casi di Hikikomori dal disturbo d’ansia sociale. Il terzo punto riguarda il disagio funzionale, che per gli esperti dev’essere valutato con attenzione. Gli studi hanno infatti rilevato che chi ne soffre è inizialmente soddisfatto del proprio ritiro sociale, soprattutto nella prima fase del disturbo, perché permette di non sperimentare vissuti dolorosi al di fuori della propria casa, ma con il trascorrere del tempo, la maggior parte delle persone inizia a percepire il disagio legato al ritiro sociale e appaiono sentimenti di solitudine e isolamento.
Infine, la presenza di altri disturbi psichiatrici non è più un criterio di esclusione: secondo gli autori infatti, l’Hikikomori può manifestarsi insieme ad una varietà di altri disturbi mentali, in comorbilità.
Per i ricercatori la necessità di fornire criteri diagnostici chiari, che possano aiutare la standardizzazione e la valutazione interculturale del fenomeno, è anche legata ai progressi nelle tecnologie digitali e di comunicazione, che offrendo alternative all’interazione sociale vis à vis possono aumentare la diffusione del disturbo. Allo stesso tempo, la dipendenza da internet non deve essere considerata come una delle principali cause dietro all'esplosione del fenomeno, ma una possibile conseguenza dell'isolamento.
Le motivazioni sottostanti possono essere diverse:
- caratteriali: gli hikikomori sono ragazzi spesso intelligenti, ma anche sensibili e inibiti socialmente, un temperamento che non aiuta ad instaurare relazioni durature, nè ad affrontare con efficacia le inevitabili difficoltà che la vita riserva;
- familiari: gli studi rilevano che possibili concause del fenomeno possono essere l'assenza emotiva del padre e l'eccessivo attaccamento con la madre, con una conseguente difficoltà genitoriale a relazionarsi con i figli, che rifiutano qualsiasi tipo di aiuto;
- scolastiche: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d'allarme, poiché l'ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo e come fonte di sofferenza;
sociali: la visione della società è molto negativa e sono molto sentite le pressioni di realizzazione sociale, dalle quali cercano in tutti i modi di fuggire.
Tutto questo comporta una crescente difficoltà e demotivazione del soggetto nel confrontarsi con la vita sociale, fino a un vero e proprio rifiuto della stessa. In particolare, uno dei principali fattori di rischio è proprio l'allontanamento progressivo di ragazzi dal proprio gruppo di coetanei; gli amici, anche quelli di vecchia data, vengono rifiutati in modo apparentemente ingiustificato e questo può essere considerato l'ultimo step, il più grave e dal quale è più difficile tornare indietro perché la solitudine genera solitudine, è un circolo vizioso che porta lentamente alla cronicizzazione. L'isolamento totale e prolungato è dunque l'ultima fase di un processo graduale, che inizia con un pulsione ad isolarsi per poi abbandonarsi a essa a smettere di contrastarla. Ma vediamo nello specifico quali sono le varie fasi:
Primo stadio: percezione di una pulsione all'isolamento sociale, che non viene elaborata consciamente; la persona si accorge di provare malessere quando si relaziona con altre persone, trovando maggiore sollievo nella solitudine e nelle relazioni virtuali, ma prova a contrastare tale pulsione continuando a mantenere delle attività sociali che richiedono un contatto diretto con il mondo esterno. I comportamenti che caratterizzano questo stadio sono: il rifiuto saltuario di andare a scuola, il progressivo abbandono di tutte le attività parallele che richiedono un contatto diretto con il mondo esterno (es. sport), una graduale inversione del ritmo sonno-veglia e la preferenza per attività solitarie (soprattutto legate alle nuove tecnologie).
Secondo stadio: elaborazione conscia della pulsione all'isolamento, che viene attribuita razionalmente a relazioni o situazioni sociali. È in questa fase che inizia il rifiuto per le proposte di uscita degli amici e l’abbandono della scuola, si inverte totalmente il ritmo sonno-veglia e si trascorre la quasi totalità del proprio tempo chiusi nella camera da letto. I contatti sociali con il mondo esterno si limitano ora quasi esclusivamente a quelli virtuali, coltivati attraverso il web soprattutto utilizzando chat, forum e giochi online, e viene mantenuto un rapporto - spesso conflittuale - con i genitori e gli altri membri della famiglia.
Terzo stadio: abbandono totale all’isolamento sociale e allontanamento progressivo anche dai genitori e dalle relazioni sviluppate in rete. Quest'ultime diventano fonte di grande malessere, in un modo simile alle relazioni sociali canoniche: l'hikikomori sprofonda in un isolamento totale, esponendosi a un grande rischio di sviluppare psicopatologie, soprattutto di natura depressiva e paranoide.
Queste fasi non sono rigide, ma un continuum dinamico, una condizione instabile e in continua evoluzione che può alternare lunghi periodi di stabilizzazione, repentine regressioni, ricadute o miglioramenti. Nel momento in cui l'hikikomori ha raggiunto il terzo stadio, riuscire a riportarlo alla vita sociale è molto complesso e spesso richiede un intervento lungo, intenso e articolato. Per questo motivo è fondamentale intervenire già nel primo stadio, quando si manifestano i campanelli d'allarme: è proprio in questa fase che i genitori devono aumentare i momenti di comunicazione con i figli, indagando quali siano le motivazioni sottostanti l’isolamento. Nel momento in cui si ha la percezione che tali comportamenti siano in fase di peggioramento, è importante che i familiari cerchino immediatamente il supporto di un professionista esterno, senza aspettare che l'isolamento si concretizzi.
(Kato, Kanba & Teo A. R, 2020, Defining pathological social withdrawal: proposed diagnostic criteria for Hikikomori - World Psychiatry)